CHI SONO

Laureata con lode in Pedagogia e Scienze Umane all'Università di Macerta "; ha conseguito il titolo di Pedagogista Clinico attraverso Master di specializzazione in “Pedagogia Clinica” presso la scuola di pedagogia “In Dialogo” di Civitanova Marche". Ha conseguito il Master universitario di I livello in "Didattica e Psicopedagogia dei Disturbi Specifici di Apprendimento" presso l'Università degli Studi del Molise.

Iscritta all’albo dei Pedagogisti Clinici presso la P.ed.i.as. (Pedagogisti e Educatori Italiani Associati) di cui risulta referente per la regione Emilia Romagna.

Applicatrice P.A.S. (Programma di Arricchimento Strumentale – Metodo Feuestein) I livello, P.A.S. Basic, Bright Start.

Esperta in Valutazione dinamica del Potenziale di Apprendimento (metodo Tzuriel).

Insegnante di ruolo (scuola primaria) presso l’ Istituto Comprensivo Miramare di Rimini (Rn).

Svolge attività di consulenza pedagogica a famiglie, istituzioni scolastiche e organismi sociali.


Si occupa di:

· Prevenzione e trattamento delle difficoltà di apprendimento e dei Disturbi Specifici di Apprendimento: dislessia, disgrafia, discalculia.
· Formazione
· Progettazione
· Sperimentazione
· Ricerca didattica


Svolge intervento abilitativo e riabilitativo in ambito educativo e pedagogico per l’età evolutiva.


ATTIVITA’ SIGNIFICATIVE



- Referente per la Prevenzione delle Difficoltà Specifiche di Apprendimento, A.S. 2006/2007 presso Direzione Didattica V Circolo di Rimini.

- Progettazione e realizzazione del progetto “Prevenzione delle Difficoltà di apprendimento per la classe prima”, presso Direzione Didattica V Circolo di Rimini, a.s. 2006/2007.

- Funzione Strumentale per la Documentazione e Formazione, A.S. 2007/2008 presso Direzione Didattica V Circolo di Rimini.

- Funzione Strumentale per la Formazione, A.S. 2008/2009 presso Direzione Didattica V Circolo di Rimini.

- Referente per la dislessia e la Prevenzione dei Disturbi Specifici di Apprendimento, A.S. 2008/2009 presso Direzione Didattica V Circolo di Rimini.

- Progettazione e realizzazione del progetto “Prevenzione delle Difficoltà di apprendimento per la classe prima”, presso Direzione Didattica V Circolo di Rimini, a.s. 2008/2009.

- Ideatrice e referente per il progetto d’istituto “F.I.P.A. – Formare-Informare-Prevenire-Agire – Prevenzione delle difficoltà di apprendimento” , dall’anno scolastico 2010/2011 e a tutt'oggi.

- Funzione strumentale per i Disturbi Specifici di Apprendimento e Bisogni Educativi Speciali, presso l'Istituto Comprensivo Miramare di Rimini, per l'a.s. 2014/2015.

- Collaborazione con il Centro Educativo Italo Svizzero "Remo Bordoni" di Rimini, da ottobre 2013.











CONTATTI

Rimini, Rimini, Italy
Riceve per appuntamento Tel: + 39 339 1417587 Fax: 0541 1601967 E-mail laurapecoraro1@tin.it

mercoledì 24 novembre 2010

LA PREVENZIONE PEDAGOGICA DELLE DIFFICOLTA' DI APPRENDIMENTO SCOLASTICO



Negli ultimi anni i disturbi dell’apprendimento in età evolutiva sono stati oggetto di numerose indagini da parte non soltanto della pedagogia clinica, ma anche della psicologia dello sviluppo e della didattica. Le recenti indagini epidemiologiche rilevano un’incidenza nella scuola elementare che oscilla tra il 5 e il 10%; questo significa che in ogni classe ci sarebbero in media uno o due alunni con questo tipo di difficoltà.


L’attenzione dedicata a tali disturbi nasce dalla constatazione che il poterli individuare precocemente genera la possibilità di predisporre interventi e strategie mirati nei cosiddetti casi “a rischio” e di ridurre nettamente la percentuale di bambini che dovrà essere inviata al Servizio Sanitario per una diagnosi e un intervento specialistico.


L’età prescolare è un periodo fondamentale per la costruzione delle abilità specifiche per poter affrontare gli apprendimenti di tipo scolastico; quasi sempre un disturbo cognitivo tra i 4/5 anni comporta difficoltà negli apprendimenti scolastici. La qualità e la quantità di tali apprendimenti, infatti, richiede sin da subito un’efficienza ottimale di gran parte delle funzioni cognitive (percezione, memoria, elaborazione delle informazioni, abilità nei processi associativi, etc.) che devono essere attivate già a partire dalla scuola dell’infanzia mediante interventi mirati e pensati per rispondere in maniera “clinica” alle caratteristiche soggettive dei bambini.



Significato di prevenzione pedagogica

Non essendovi al riguardo una bibliografia di riferimento adeguata a descrivere la pratica preventiva applicata al mondo della pedagogia, per riuscirne ad esplicitare al meglio significato e ambiti di applicazione, SI è ritenuto opportuno procedere in duplice direzione: facendo riferimento al contesto sanitario e all’etimologia.


Il termine “prevenzione” (deriva dal latino prae-venio = vengo prima o, meglio, intervengo prima) attiene prevalentemente all’ambito medico-sanitario e consiste nell’attuazione di provvedimenti adeguati ad impedire l’insorgenza di una particolare malattia. 


Facendo riferimento all’etimologia del sostantivo “pedagogia” (dal greco paidagogia – pâis/paidòs “fanciullo” e ágein “condurre”) si conviene, tuttavia, che la pratica preventiva è tipica anche delle scienze pedagogiche poiché il loro scopo è quello di individuare i processi di aiuto allo sviluppo umano, le condizioni che lo agevolano o lo ostacolano e di predisporre progetti educativi adeguati alle caratteristiche soggettive degli individui.[1] La pedagogia deve, pertanto, assumere la prevenzione come obiettivo principale da perseguire.


Sulla base di tali assunti, si ritiene opportuno pensare la prevenzione pedagogica delle difficoltà di apprendimento, al pari della prevenzione sanitaria che agisce a livello primario, secondario e terziario, come un’ azione mirata e programmata che agisce a livello: 


· primario: come azione di informazione-formazione sulle tematiche inerenti le difficoltà d’apprendimento scolastico, condotta mediante attività di counseling o momenti di formazione vera e propria in seminari o corsi condotti da personale esperto; si attua sull’ambiente (inteso come insieme di fatti e fenomeni che caratterizzano l’attività dell’ individuo nella comunità in cui è inserito) e sull’uomo.


· secondario: intesa come somministrazione di test di screening per l’individuazione precoce dei soggetti a rischio di Disturbi dell’Apprendimento Scolastico e degli individui che possono presentare décalage in una o più aree deputate all’apprendimento della letto-scrittura e del calcolo;


· terziario: agisce sulla popolazione a rischio e consiste nella predisposizione e attuazione di interventi educativi mirati a colmare le lacune evidenziate dal test di screening. 


L’assetto clinico si configura, pertanto, come assunto che ispira qualsiasi pratica pedagogica: la singolarità dei casi individuali, dei gruppi, delle situazioni e degli ambienti risulta indispensabile per progettare interventi educativi pertinenti al caso e, quindi, contestualizzati.


Qualsiasi programma di prevenzione pedagogica deve tener conto dello specifico contesto nel quale trova sviluppo, degli atteggiamenti, delle ideologie e delle pratiche educative tipiche di quel particolare ambiente. La sua riuscita dipende fondamentalmente dall’interazione di fattori che vanno al di là delle concezioni teoriche che lo hanno ispirato. Coinvolgendo una pluralità di persone, il programma di prevenzione pedagogica media tra le aspettative dei suoi ideatori e la quotidiana pratica educativa scolastica, per favorire la nascita di atteggiamenti e scelte educative più attenti alle esigenze dei singoli.


Tutto ciò implica una maggiore consapevolezza, da parte dei soggetti coinvolti, dei principi che guidano la propria prassi scolastica nonché di una piena e sicura conoscenza delle fasi dello sviluppo infantile e del funzionamento intellettivo.


A tal proposito i concetti di sviluppo e intelligenza si collocano in una posizione di primissimo piano poiché è soltanto dalla conoscenza adeguata dell’andamento di sviluppo “normale” fisico e intellettivo che è possibile individuare, attraverso l’osservazione funzionale, eventuali anomalie e, predisporre interventi pertinenti. È proprio in questa cornice che si inserisce l’intelligenza pedagogica delle persone coinvolte nel programma di prevenzione. Soltanto un’intelligenza pedagogica, infatti, consente di mettere in discussione le pratiche scolastiche consolidate per adattarle ai bisogni educativi individuati dal test di screening. L’assenza di plasticità da parte degli insegnanti impedisce la piena realizzazione dell’intero programma. Ovviamente qualsiasi intervento che si realizzi a livello terziario implica la messa in discussione di tecniche e metodologie, nonché un’adeguata conoscenza dell’eziologia delle difficoltà di apprendimento scolastico e delle loro caratteristiche. Senza tale consapevolezza verrebbe a mancare qualsiasi presupposto per la realizzazione di un programma di prevenzione pedagogica. 


La prevenzione pedagogica delle difficoltà di apprendimento scolastico lavora principalmente con bambini d’età compresa tra i 4 e i 6 anni e oggetto della sua indagine sono essenzialmente i requisiti per l’apprendimento della letto-scrittura e del calcolo. Già a partire dai 4 anni è possibile individuare una serie di indicatori utili per l’identificazione precoce di alcune difficoltà (possibili) future. Qualora si riscontrano lacune in una o più aree deputate agli apprendimenti scolastici è utile lavorare sull’ambiente (atteggiamenti, strategie, proposte, stimoli) per prevenire l’insorgenza di eventuali problematiche ben più consistenti. 


Affinché il programma di prevenzione pedagogica possa avere esito positivo è altresì importante la conoscenza delle tappe di sviluppo “normale” del bambino nella fascia d’età tre-sei anni e delle competenze possedute in tale periodo; tali informazioni consentono di individuare una serie di indicatori che potrebbero avere valore predittivo di difficoltà di apprendimento o di disturbi specifici di apprendimento.


Ciascun insegnante della scuola dell’infanzia e primaria dovrebbe disporre di tali conoscenze per poter progettare un’azione didattica pertinente e dotata di senso.






[1] Cfr. P. CRISPIANI, Pedagogia clinica. La pedagogia sul campo, tra scienza e professione, Edizioni Junior, Azzano San Paolo (BG), 2001.

LA PREVENZIONE PEDAGOGICA COME ITINERARIO DI LAVORO

Ispirata dai principi pedagogici e metodologici ideati da personaggi illustri del mondo della pedagogia come J. M. Itard[i], M. Montessori[ii], E. Claparéde[iii], negli ultimi anni, attraverso una continua attività di ricerca-azione mutuata dal lavoro quotidiano nell’ambito della clinica e della scuola, ha elaborato con maggiore determinazione la convinzione che qualsiasi intervento educativo deve necessariamente tener conto della pluralità dei casi  e dell’importanza di un’accurata pratica valutativa per riuscire a cogliere la singolarità delle diverse situazioni.
Il confronto tra esperienze di insegnamento, maturate in contesti territoriali molto diversi tra loro, ha portato in luce, o quanto meno reso più evidente e consapevole, l’atteggiamento purtroppo diffuso e latente in numerose realtà scolastiche che porta a trascurare le differenze individuali e le modalità di costruzione della conoscenza di ognuno. Le lezioni vengono quotidianamente presentate in aula soltanto perché dettate da una necessità ministeriale e senza considerare che, al di là di qualsiasi imperativo, possono esservi bisogni educativi e formativi ben più ampi, ai quali non sempre la scuola riesce a rispondere con efficacia. Questa pratica porta a trascurare che qualsiasi apprendimento implica la piena padronanza di concetti e competenze che si collocano al livello inferiore e senza i quali nessuna conoscenza successiva può essere costruita.
Le abilità di base, comunemente dette prerequisiti, vengono affrontate con superficialità ritenendo prioritaria l’acquisizione dei meccanismi della letto-scrittura e del calcolo. Così nelle prime fasi della scolarizzazione primaria, dopo valutazioni e osservazioni condotte con frettolosità e poca oggettività, le classi vengono formate e finalmente il “programma” ha inizio. La scuola italiana ha dunque fretta: ha fretta di insegnare a leggere e scrivere, ha fretta di utilizzare i quaderni, ha fretta di scolarizzare i bambini. La scuola, così concepita, appare allora come una gabbia in cui poco è lo spazio lasciato al gioco, al piacere della scoperta, al movimento.
Si dimentica l’eredità montessoriana della spontaneità del bambino, del suo impulso naturale ad agire e conoscere. I bambini desiderano conoscere e sapere, domandano e ricercano, pensano e immaginano: le menti in via di sviluppo hanno l’avidità di un corpo affamato. Maria Montessori affermava che la scuola deve essere vivificata da uno spirito nuovo, deve essere animata da un maestro saggio, più saggio di qualunque altro individuo umano, che conosce e rispetta le leggi dell’educazione.[iv]
Rispetto quindi per i ritmi e le modalità di apprendimento, rispetto per le particolarità dei singoli.
Un errore che invece solitamente viene commesso è che quando il bambino entra nella scuola primaria  si comincia a pensarlo come capace di tutto: contare, leggere, scrivere, imparare la storia, capire concetti, contenuti. Si dimentica quindi che alla base degli apprendimenti complessi sottendono abilità prerequisite, la cui dismaturità può compromettere o rendere difficoltoso l’intero processo di apprendimento. Se è vera l’idea bruneriana[v] che è possibile imparare qualunque cosa a qualsiasi età, è pur vero che specifiche conoscenze il bambino le interiorizza soltanto nel momento in cui ha maturato e padroneggia le abilità di base.
Di tutto ciò la scuola non può non tenerne conto. Questo risulta di  importanza cruciale per gli insegnanti dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia i quali, in virtù delle nuove disposizioni ministeriali circa la possibilità di anticipare l’ingresso nel mondo delle primaria, si ritrovano nella condizione di dover effettuare delle osservazioni sulle reali competenze  possedute dagli alunni


[i] Cfr. P. CRISPIANI, Itard e la pedagogia clinica, Tecnodid Editrice, Napoli, 1998.
[ii] Cfr. C. TORNAR, Attualità scientifica della pedagogia di Maria Montessori, Anicia, Roma, 1990.
[iii] Cfr. E. CLAPARÈDE, Pedagogia sperimentale: i metodi, Giunti-Barbera, Firenze, 1971.
[iv] Cfr. A. SCOCCHERA, Maria Montessori. Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo, Opera Nazionale Montessori, Roma.
[v] Cfr. J. BRUNER, La cultura dell’educazione, Feltrinelli Editore, Milano, 2006.